Come ben noto a tutti gli operatori del settore, negli ultimi anni si è registrato un notevole "giro di vite" in relazione alla problematica delle attestazioni di qualificazione rilasciate dalle SOA sulla base di documentazione falsa.
In tempi abbastanza recenti, ad esempio, con la pubblicazione del D.M. Infrastrutture n. 272/2007 (sulla G.U.R.I. n. 35 del 11.2.2008), si è dato il via ad una straordinaria operazione di controllo "a tappeto" sulle attestazioni SOA rilasciate nel periodo dal 1° marzo 2000 al 1° luglio 2006, con lo scopo di verificare l'autenticità dei certificati di lavori pubblici e privati utilizzati per il loro rilascio. Tale verifica, le cui risultanze sono state rese note dall'Autorità di Vigilanza per i Contratti Pubblici nella relazione per l'anno 2009, ha già condotto alla decadenza di un considerevole numero di attestazioni.
Ebbene, le modalità e le condizioni attraverso cui le imprese operanti nel settore dei lavori pubblici, colpite da un provvedimento di decadenza della propria attestazione SOA, possono conseguire un nuovo attestato di qualificazione (e dunque riprendere ad operare con la Pubblica Amministrazione) sono state oggetto di dubbi, controversie e forti contrasti.
Sul punto è da ultimo autorevolmente intervenuta la stessa Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici, con la Determinazione n. 3 del 3 giugno 2010, pubblicata sulla G.U.R.I. Serie Generale n. 162 del 14 luglio 2010, e recante "Procedimento per il rilascio del nulla osta a nuova attestazione di qualificazione SOA su istanza dell'impresa cui sia stata dichiarata decaduta l'attestazione a seguito di accertamento di false dichiarazioni; indicazioni interpretative dell'articolo 17, comma 1, lett. m) del D.P.R. 25 gennaio 2000, n.34".
a) Cenni sul sistema di qualificazione SOA
Per inquadrare correttamente la problematica inerente al rilascio di una nuova attestazione SOA a seguito dell’intervenuta decadenza per falso occorre premettere brevi cenni sul sistema di qualificazione per l’esecuzione dei lavori pubblici.
Diversamente da altri paesi dell’UE, in Italia vige un sistema di qualificazione obbligatoria, articolato in categorie di opere e classifiche di importi, che abilita le imprese all’esecuzione dei lavori pubblici di valore superiore a 150.000 euro.
L’attestazione di qualificazione (cioè il documento che dimostra il possesso da parte dell’impresa degli elementi di qualificazione secondo tale sistema obbligatorio) è rilasciato da organismi di diritto privato appositamente autorizzati dall’Autorità per la Vigilanza (detti “SOA”, acronimo di “società organismi di attestazione”), e costituisce “condizione necessaria e sufficiente per la dimostrazione dell’esistenza dei requisiti di capacità tecnica e finanziaria ai fini dell’affidamento dei lavori pubblici” (cfr. art. 3 del D.P.R. 34/2000).
Pertanto, ai fini della partecipazione alle gare per l’affidamento dei contratti pubblici di lavori, i concorrenti debbono necessariamente dimostrare il possesso dei requisiti di partecipazione prescritti dal bando esibendo un’idonea attestazione di qualificazione rilasciata da una SOA (cfr. art. 40 D.Lgs. 163/2006).
Nel corso del procedimento per il rilascio di tale certificazione, quindi, l’organismo di attestazione procede a verificare la sussistenza, in capo all’impresa attestanda, dei necessari requisiti di qualificazione.
Tali requisiti si distinguono in due ordini:
a) Requisiti d’ordine generale (art. 17 D.P.R. 34/2000);
attengono all’idoneità soggettiva del richiedente a conseguire il titolo abilitante a contrattare con la pubblica amministrazione
b) Requisiti di ordine speciale (art. 18 D.P.R. 34/2000);
afferiscono alla capacità economico-finanziaria ed all’idoneità tecnico-organizzativa dell’impresa, e si riflettono nelle diverse categoria-classifiche di opere per la cui esecuzione la stessa viene abilitata attraverso il procedimento di attestazione
L’impresa attestanda provvede alla dimostrazione dei requisiti di ordine speciale posseduti producendo alla SOA, nel corso del procedimento di attestazione, una serie di documenti e dichiarazioni.
Ebbene, è in relazione a tali documenti e dichiarazioni che una falsità può venire in rilievo (anche a distanza di molti anni dal conseguimento dell’attestato SOA) nell’ambito dei procedimenti di controllo (ordinari o straordinari) che l’AVCP o le SOA pongono in essere nell’esercizio delle rispettive prerogative.
Ciò si verifica con particolare frequenza con riferimento ai certificati di esecuzione lavori (CEL) rilasciati dalle amministrazioni appaltanti, ed utilizzati dall’impresa in sede di attestazione per documentare l’intervenuta esecuzione dei contratti pubblici di lavori onde vedersi riconosciuti i corrispondenti requisiti di qualificazione (artt. 18, comma 6, e 22 del D.P.R. 34/2000).
Frequentemente interessati dall’insorgenza di falsi sono risultati, in particolare, i CEL utilizzati antecedentemente al 01/07/2006 (data di entrata in vigore del Codice dei Contratti Pubblici). Ciò in quanto, in quel periodo, non sussisteva ancora, a carico delle stazioni appaltanti, l’obbligo sancito dall’art. 40, comma 3, lett. b), D.Lgs. 163/2006 di trasmettere i certificati emessi all'Osservatorio istituito presso l'AVCP. Pertanto, non essendo possibile acquisire o riscontrare tali più risalenti certificati tramite l’Osservatorio, le SOA hanno dovuto ricevere i CEL in questione direttamente dalle imprese. Tale prassi, evidentemente, ha favorito l’utilizzo di certificati che, all’atto del controllo, hanno incontrato il disconoscimento da parte delle stazioni appaltanti emittenti.
b) L’incidenza della falsità rispetto all’attestazione SOA
Ciò premesso, deve ora chiarirsi quale possa essere la rilevanza della falsità rispetto all’attestazione SOA conseguita dall’impresa utilizzando un certificato lavori disconosciuto.
È evidente, in primo luogo, che la falsità di un certificato di esecuzione lavori abbia un’immediata ricaduta sui requisiti di ordine speciale.
Infatti, risultando falso il documento attestante l’avvenuta esecuzione di un dato appalto di lavori pubblici, l’impresa viene automaticamente a perdere i corrispondenti requisiti di qualificazione (cioè i requisiti di idoneità tecnica maturati attraverso la realizzazione di opere aventi determinata tipologia e valore).
In altre parole, venendo ad essere inficiato il documento inteso a dimostrare la regolare esecuzione di tali opere, l’impresa non può più giovarsi dei requisiti di qualificazione che avrebbe maturato in funzione di essa, ai sensi dell’art. 18, comma 5, D.P.R. 34/2000.
Trattasi della c.d. rilevanza oggettiva del falso, che comporta l’automatica decadenza di tutte le attestazioni SOA rilasciate sulla base del certificato disconosciuto (in quanto ricognitive di requisiti di idoneità tecnica oggettivamente non comprovati).
In secondo luogo, la medesima falsità del certificato può incidere anche sui requisiti d’ordine generale, facendo venire meno, in particolare, la condizione (indefettibile per l’ottenimento ed il mantenimento dell’attestazione SOA) della “inesistenza di false dichiarazioni circa il possesso dei requisiti richiesti per l'ammissione agli appalti e per il conseguimento dell'attestazione di qualificazione” (art. 17, comma 1, lett. m, D.P.R. 34/2000).
Di talché, la falsità riscontrata, ove imputata all’impresa, ha l’effetto di privare quest’ultima anche del requisito d’ordine generale di cui sopra, e determina non solo la decadenza dell’attestazione in corso, ma anche il difetto dei requisiti necessari per ottenere una nuova attestazione.
Ne deriva, in sintesi, che il disconoscimento di un CEL utilizzato dall’impresa nella procedura di attestazione può comportare:
- in ogni caso, la decadenza di tutte le attestazioni rilasciate sulla base dei requisiti di qualificazione derivanti da quel certificato;
- eventualmente, in caso di ritenuta imputabilità del falso all’impresa, anche la perdita del requisito generale di cui all’art. 17, comma 1, lett. m) del D.P.R. 34/2000 e, conseguentemente, la decadenza dell’attestazione in corso e l’impossibilità di conseguirne una nuova.
Nella generalità dei casi (ma, come si vedrà, non è l’unica ipotesi possibile) il CEL disconosciuto dalla stazione appaltante in sede di verifica è stato utilizzato dall’impresa per il rilascio dell’attestazione in corso di validità. Ne deriva che il semplice disconoscimento di tale CEL determina, per l’esaminata rilevanza oggettiva del falso, l’obbligo per la SOA di disporre la decadenza dell’attestazione in corso (nonché di quelle più risalenti, per le quali lo stesso CEL sia stato parimenti utilizzato).
Perdendo l’attestazione in corso, l’impresa si trova dunque nell’impossibilità di seguitare ad operare nel settore dei lavori pubblici.
c) Le indicazioni dell’AVCP sul procedimento di riattestazione
Con la Determinazione n. 3 del 3 giugno 2010, l’Autorità si è espressa in ordine alle modalità e le condizioni attraverso cui un’impresa, colpita da un provvedimento di decadenza dell’attestazione SOA in corso, possa conseguire un nuovo attestato di qualificazione (e dunque riprendere ad operare con la Pubblica Amministrazione).
In base alle indicazioni rese dell’AVCP – che risultano sul punto in piena armonia con le premesse sopra sviluppate – la procedura di riattestazione si incentra sull’accertamento dell’imputabilità del falso.
Ed infatti, ove la falsità risultasse non imputabile all’impresa, e dunque dovesse ritenersi che quest’ultima abbia conservato il possesso del requisito generale di cui all’art. 17, comma 1, lett. m) del D.P.R. 34/2000, non vi sono preclusioni all’immediato rilascio di una nuova attestazione SOA (che non tenga però conto, ovviamente, dei requisiti derivanti dal certificato disconosciuto).
Viceversa, ove la falsità riscontrata dovesse ritenersi imputabile all’impresa, allora il difetto del requisito generale della “inesistenza di false dichiarazioni circa il possesso dei requisiti richiesti per l'ammissione agli appalti e per il conseguimento dell'attestazione di qualificazione” impedirebbe senz’altro il conseguimento della nuova attestazione.
Un profilo lungamente controverso riguardava la durata di tale impedimento: il primo e più importante merito dell’AVCP, nell’adozione della citata Determinazione n. 3/10, è quello di aver posto un limite temporale al divieto di ottenere l’attestazione per le imprese incorse nella decadenza per falso imputabile.
L’Autorità ha infatti ritenuto irragionevole e sproporzionata una preclusione sine die all’attestazione nei confronti di un’impresa cui sia stato imputato il falso da cui è scaturito il provvedimento di decadenza.
Pertanto (anche in coerenza con le previsioni dell’emanando nuovo Regolamento di attuazione del Codice dei Contratti), l’AVCP ha propugnato un’interpretazione “mitigata” dell’art. 17, comma 1, lett. m), D.P.R. 34/2000 (che, in sé, non prevede alcuna espressa limitazione temporale) in virtù della quale l’interdizione all’ottenimento di una nuova attestazione si protrarrebbe per il periodo di un anno decorrente dall’iscrizione, nel casellario informatico istituito presso l’Osservatorio, della notizia della decadenza per falso.
Decorso tale periodo, quindi, l’impresa interessata può senz’altro rivolgersi ad una SOA per ottenere una nuova attestazione.
Ove, invece, l’impresa la cui attestazione stata dichiarata decaduta per falso intendesse conseguire la riattestazione prima del decorso di un anno, allora la stessa dovrebbe rivolgere un’istanza all’AVCP per ottenere un “nulla osta al rilascio di un nuovo attestato SOA”.
L’ottenimento di tale nulla osta, secondo quanto riferito dall’Autorità nella Determinazione n. 3/10, presuppone, però, la dimostrazione della “totale estraneità alla accertata alterazione documentale e/o falsa attestazione, posto che la richiesta di riattestazione implica la necessaria valutazione circa l’eventuale non imputabilità all’impresa della falsa documentazione prodotta e/o delle dichiarazioni non veritiere rese in sede di qualificazione”.
Un’altra utile novità, annunciata dall’Autorità nella Determinazione n. 3/2010, è connessa alla possibilità di esperire la valutazione dell’imputabilità del falso contestualmente al controllo della sussistenza oggettiva del falso.
In tal modo, l’impresa interessata dal procedimento di controllo ha l’occasione di dimostrare la propria estraneità ai fatti contestati in uno con l’accertamento dell’esistenza della falsità.
Il vantaggio di anticipare le valutazioni sull’imputabilità al momento dell’accertamento del falso consiste nella possibilità, per l’impresa estranea alla falsità riscontrata, di conseguire il nulla osta alla riattestazione simultaneamente al provvedimento di decadenza per falso oggettivo e, dunque, ottenere immediatamente una nuova attestazione SOA (che non contempli, è ovvio, il certificato disconosciuto) senza incorrere in alcuna paralisi operativa.
L’esame congiunto dei due profili della falsità (esistenza ed imputabilità) è però subordinato ad un’apposita istanza dell’impresa e rappresenta, quindi, un’ipotesi solo eccezionale del procedimento di riattestazione (il quale generalmente postula, invece, che l’esame sull’imputabilità sia successivo ed eventuale rispetto all’adozione del provvedimento di decadenza).
La Determinazione in commento ha dunque il pregio di aver distinto acutamente l’ambito di rilevanza oggettiva del falso (inficiante i requisiti di ordine speciale) dal quello della falsità imputabile (incidente invece sui requisiti d’ordine generale), e di aver chiaramente delineato i passaggi procedimentali che è necessario compiere per conseguire la riattestazione a seguito della decadenza per falso.
d) Il limiti del procedimento di riattestazione tratteggiato dall’AVCP, ed il contrasto con le recenti indicazioni della Giurisprudenza
Tuttavia, deve pure rilevarsi che il procedimento di riattestazione delineato dall’Autorità nella stessa Determinazione è informato da una sorta di “preconcetto”, e cioè che, in difetto di un accertamento da parte dell’AVCP, qualunque decadenza per falso debba far presupporre (sino a prova contraria offerta dall’impresa interessata) l’imputabilità della falsità e, dunque, il difetto del requisito generale di cui all’art. 17, comma 1, lett. m) cit..
Infatti, secondo l’impostazione data dall’AVCP nella Determinazione 3/10, sembra che il termine annuale di interdizione all’ottenimento di una nuova attestazione decorra automaticamente al solo verificarsi dell’annotazione nel casellario di un provvedimento di decadenza per falso, mentre “l’impresa che ritenga di non essere responsabile della produzione documentale non veritiera ha la possibilità di tornare ad operare nel settore dei contratti pubblici in un momento anteriore alla scadenza del periodo interdittivo di un anno … dimostrando la sua totale estraneità alla accertata alterazione documentale e/o falsa dichiarazione”.
In altri termini, il semplice venire in rilievo del disconoscimento del CEL da parte della stazione appaltante implicherebbe non solo la decadenza dell’attestazione da esso oggettivamente inficiata, ma anche la presunzione che la falsità sia imputabile all’impresa (e ciò a prescindere da qualunque indagine svolta in proposito da parte della SOA o della stessa AVCP, posto che ogni approfondimento sull’imputabilità è rinviato ad altra sede, quella dell’eventuale procedimento di riattestazione da avviare su istanza dell’impresa interessata a dimostrare la propria estraneità alla falsità riscontrata).
Verrebbe ad instaurarsi, in tale modo, un preteso automatismo tra decadenza per falso e difetto del requisito generale in capo all’impresa che in tale provvedimento sia incorsa.
Nella generalità dei casi – nei quali, come si è detto innanzi, il certificato disconosciuto risulta essere stato utilizzato per il rilascio dell’ultima attestazione in corso – la presunzione che il falso sia imputabile all’impresa (sino a prova contraria) non determina particolari problemi: infatti, in tali ipotesi, l’attestazione in corso deve comunque necessariamente cadere in ragione dell’oggettiva rilevanza del falso e, come pure opportunamente osservato dall’Autorità nella stessa Determinazione, non è possibile utilizzare precedenti e superate attestazioni per supplire a quella dichiarata decaduta.
Tuttavia, lo stesso “preconcetto”, che può apparire innocuo ed irrilevante nella generalità dei casi, può invece determinare effetti paradossali allorquando l’impresa non abbia utilizzato il certificato disconosciuto per conseguire l’ultima attestazione SOA in corso di validità, sì che quest’ultima non possa dirsi interessata dalla rilevanza oggettiva del falso.
In tali ipotesi, infatti, inficiate dall’oggettiva falsità del certificato – e dunque meritevoli di decadenza – sono solo le attestazioni più risalenti, mentre i requisiti di ordine speciale utilizzati per il rilascio dell’attestazione attuale risultano del tutto estranei al CEL disconosciuto, con la conseguenza che la più recente attestazione non può dirsi “conseguita sulla base di falsi documenti”. Donde il venir meno, per essa, del presupposto secondo cui può dichiararsi decaduta l’attestazione anche laddove la falsità non sia imputabile all’impresa.
Un caso di questo genere (falso incidente solo sulle vecchie attestazioni) è stato recentemente esaminato dal TAR per il Lazio, e si è concluso con l’annullamento dei provvedimenti sanzionatori assunti dall’Autorità di Vigilanza.
La controversia verteva, infatti, sulla determinazione con cui l'Autorità aveva ritenuto che la mera produzione, in fase di attestazione SOA, di documentazione successivamente disconosciuta dalla stazione appaltante, comportasse automaticamente la perdita del requisito di cui all'art. 17, comma, 1 lett.m), del D.P.R. 34/2000, con la conseguente decadenza di tutte le attestazioni successivamente conseguite dall'impresa in carenza del suddetto requisito (ivi inclusa quella in corso di validità, sebbene il certificato disconosciuto non fosse stato utilizzato per il suo rilascio).
Era evidente, quindi, che tale provvedimento sanzionatorio fosse scaturito proprio dal quel “preconcetto” (l’automatismo tra decadenza e perdita dei requisiti generali) che è anche alla base del procedimento di riattestazione delineato nella Determinazione n. 3/2010.
Ebbene, il TAR per il Lazio, Sez. III, nella pronuncia n. 32138 del 8.9.2010, ha rilevato l’illegittimità di tale provvedimento argomentando che “la perdita del prescritto requisito generale postula non solo la produzione in sede di richiesta di rilascio di attestazione di documentazione falsa ma anche la riferibilità soggettiva del fatto all'impresa richiedente a titolo di dolo o colpa, nozione quest'ultima qualificabile in termini di violazione di doveri di diligenza”.
Così pronunciando, quindi, il Giudice Amministrativo ha smentito l’esistenza di qualunque automatismo tra il fatto materiale della produzione di documentazione falsa e perdita del requisito generale di cui all'art. 17, comma, 1 lett. m) cit.: quest’ultimo può ritenersi infirmato solo a seguito di un concreto accertamento dell’imputabilità del falso all’impresa (imputabilità che, dunque, rovesciando il “preconcetto” dell’AVCP, non può essere mai presupposta).
Si registra, quindi, sotto tale rilevante profilo, uno stridente contrasto tra la posizione assunta dall’Autorità di Vigilanza (improntata da un notevole rigore, che si estrinseca in una presunzione di colpa dell’impresa interessata dal falso) e quella del Giudice Amministrativo (incline invece a riconoscere agli operatori economici almeno il beneficio del dubbio sino al concreto accertamento delle connesse responsabilità).
Avv. Alessandro Bonanni
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